Guadagnare di più lavorando di meno: cosa dice davvero McKinsey sull’IA
Se usiamo bene l’Intelligenza Artificiale possiamo lavorare meno e guadagnare di più. McKinsey lo scrive chiaramente studiando il mercato del lavoro qui negli Stati Uniti. Con le tecnologie che abbiamo già oggi si potrebbe automatizzare una fetta enorme delle ore di lavoro pagate, e questo libera centinaia di miliardi ogni anno. La domanda non è se succederà, ma come decidiamo di usare quei soldi e quel tempo.
Noi spesso pensiamo che l’AI serva solo a “tagliare posti”. Il report va in un’altra direzione: persone, agenti artificiali e robot lavorano insieme. Dove l’AI entra davvero, il lavoro umano cambia forma, diventa più decisionale, più relazionale, più concentrato sui casi complessi. In radiologia, ad esempio, il personale è aumentato negli anni in cui arrivavano i sistemi automatici per leggere le immagini, perché il valore si è spostato sulla decisione finale e sul rapporto con il paziente, non sulla pura routine.
Il punto interessante è cosa succede ai salari. I lavori in cui si gestiscono agenti di Intelligenza Artificiale, senza essere programmatori, oggi pagano di più della media. Pensiamo a chi fa finanza, consulenza, progettazione tecnica, insegnamento con strumenti di AI avanzata: in questi ruoli la combinazione “umano + agente artificiale” vale più del lavoro umano da solo. Se quella combinazione permette di fare la stessa produzione in meno ore, lo spazio per contratti migliori c’è davvero.
Qui negli Stati Uniti sta spopolando un’espressione semplice: “AI fluency”. Non vuol dire scrivere codice, vuol dire saper usare bene gli strumenti di AI, capirne i limiti, farsi aiutare da agenti artificiali per scrivere, analizzare, parlare con i clienti, preparare documenti. È una competenza che nelle offerte di lavoro cresce a velocità impressionante. Più noi diventiamo fluenti, più possiamo andare al tavolo a chiedere: stessa produttività, meno ore, parte del guadagno in busta paga.
McKinsey mostra anche un’altra cosa che spesso ignoriamo: le competenze che reggono questa transizione sono le nostre skill umane classiche. Comunicazione, problem solving, gestione, scrittura, relazione con il cliente. Sono richieste sia nei pezzi di lavoro che possono essere automatizzati sia in quelli che devono restare umani. L’AI non azzera queste capacità, le amplifica: un agente scrive la prima bozza, noi la rendiamo sensata, corretta, adatta alle persone.
L’esito però non è scritto. Gli stessi numeri che possono finanziare settimane di quattro giorni, stipendi più alti e più tempo per la famiglia possono essere usati per comprimere il costo del lavoro e allargare i divari. Dipende da quanto siamo pronti, come lavoratori e come cittadini, a pretendere che la nuova produttività non finisca solo nei bilanci delle aziende.
La tecnologia sta aprendo una porta concreta: fare di più con meno ore. Se costruiamo competenze, contratti e regole all’altezza, quella porta porta davvero a guadagnare di più lavorando meno. Se non lo facciamo, saranno gli agenti artificiali a decidere al posto nostro come useremo il nostro tempo.
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