Il giorno in cui Internet morì.
8 giugno 2021. Una mattina normale. Poi, all’improvviso, il mondo va giù: non un sito, non una piattaforma, mezzo Internet sparisce. Amazon bloccata, Reddit inaccessibile, il New York Times muto, la BBC giù, persino il governo britannico non riesce a comunicare online.
Tutto inizia da un aggiornamento sbagliato, un bug in un’azienda che quasi nessuno conosce: Fastly. Una Content Delivery Network, CDN, cioè quei sistemi invisibili che portano i contenuti più velocemente in tutto il mondo. Non li vediamo, non li nominiamo, ma senza di loro Internet non gira.
Eppure basta un errore di configurazione e in pochi secondi i siti più grandi del pianeta si spengono. Per un’ora intera il mondo digitale si ferma: per alcuni sembra un fastidio, non puoi leggere il giornale o comprare online, ma dietro c’è molto di più. In quelle stesse ore compagnie aeree non vendono biglietti, supermercati non aggiornano gli stock, sistemi governativi non comunicano: la vita reale si blocca.
La storia è chiara: non esiste un “Internet” unico, libero, pubblico. Esistono infrastrutture private, e pochissime aziende hanno in mano i nodi vitali. Fastly è solo una, poi ci sono Cloudflare e Akamai, tre nomi che tengono in piedi la rete. Eppure nessuno li ha mai votati, nessuno li controlla davvero: rispondono a consigli di amministrazione, non a governi.
Il blackout di Fastly fu risolto in un’ora, ma quell’ora è bastata a mostrare la verità. Internet è fragile, non è resiliente, non è democratica: è una ragnatela di nodi gestiti da corporation, e quando cade uno di loro cade tutto.
La retorica che ci hanno venduto, Internet come spazio libero, invulnerabile, orizzontale, era falsa. La rete è privatizzata, concentrata, e noi ci viviamo sopra come se fosse eterna, ma basta un bug a dimostrare il contrario.
Il problema non è l’incidente, perché gli incidenti capitano. Il problema è che abbiamo costruito la civiltà su un’infrastruttura che non controlliamo: sanità, scuola, finanza, politica, tutto dipende da server di proprietà privata. Non c’è alcuna garanzia di continuità, non c’è alcuna sovranità.
Pensiamoci: se un blackout di un’ora ha paralizzato giornali, governi e aziende, cosa succederebbe se durasse un giorno intero? O una settimana? Un attacco mirato potrebbe farlo, e non serve immaginare scenari fantascientifici: il 2016 ce lo ha già mostrato con l’attacco a Dyn. Centinaia di migliaia di frigoriferi e telecamere infettate hanno buttato giù Twitter, Netflix, CNN, PayPal. Non era un film, era la realtà.
La verità è che Internet non è nostro, non ci appartiene, è in mano a poche aziende che non hanno alcun obbligo verso di noi. La prossima volta, forse, non basterà un’ora per rimettere tutto in piedi.
Quando Internet muore, non muore una volta sola: moriamo noi con lei.
#DecisioniArtificiali #MCC
👉 Nota importante: stiamo definendo le settimane in cui sarò in Italia nei prossimi mesi al fine di continuare a dedicare tempo all’Italia anche dopo il mio trasferimento a New York. Chi vuole richiedere la mia presenza ad eventi in Italia, contatti asap il mio team, perché stiamo chiudendo le date dei viaggi in cui definiremo i giorni in cui sarò in Italia, a: [email protected]
Mentre per sponsorizzare i microdocumentari bisogna scrivere a: [email protected]