Sono in arrivo nuovi fondi per università ed enti pubblici dedicati al trasferimento tecnologico. Sono risorse importanti perché, nei Paesi dove si sostiene e si finanzia questo processo, le imprese sono più competitive, l’economia è più ricca e quindi anche le persone vivono meglio.
Il trasferimento tecnologico avviene quando le conoscenze e le tecnologie sviluppate all’interno di un’organizzazione, che può essere un’università, un centro di ricerca o un istituto scientifico, vengono diffuse e applicate al di fuori di questa organizzazione, per esempio in un’azienda. È insomma il frutto della collaborazione tra mondi diversi, ma con l’unico obiettivo di rendere l’innovazione accessibile a tutti.
Scienziati e ricercatori che arrivano a scoprire nuove molecole, materiali, metodi di fabbricazione o servizi di vario tipo, rischiano di non portare vantaggi alla società se le loro scoperte restano chiuse dentro un’aula o in un laboratorio, e non diventano proposte concrete e commerciabili.
Così, in Italia, ci sono università che danno alle aziende le conoscenze necessarie per sviluppare nuovi farmaci, o centri di ricerca che forniscono a chi gestisce le infrastrutture le tecnologie in grado di ridurre il rischio di incidenti, o atenei che sviluppano soluzioni innovative per la conservazione degli alimenti poi utilizzate dall’industria alimentare, o ricercatori che lavorano sulle energie rinnovabili per le società di questo settore, o studiosi impegnati nella produzione di tessuti innovativi che poi entrano a far parte del mondo della moda. Gli esempi potrebbero essere molti.
Sono alcune migliaia ogni anno i contratti di trasferimento tecnologico tra aziende ed enti, soprattutto università, per un valore di alcuni miliardi di euro. Più cresceranno gli accordi di questo tipo, più la ricerca sarà in grado di uscire fuori dalle proprie stanze e incontrare il mondo. Un bene per tutti.