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Scrivere codice senza saper programmare

Scrivere codice senza saper programmare? Adesso si può. Ma il punto è un altro: se non sai programmare, come fai a capire cosa sta davvero facendo la macchina?

L’idea che il linguaggio più potente sia l’inglese, e non più il codice, è diventata realtà. Oggi basta scrivere in linguaggio naturale e l’intelligenza artificiale genera software in automatico. Fantastico, no? Dipende. Perché se non capisci cosa c’è dietro, sei cieco davanti a quello che il sistema sta creando per te.

Kevin Roose, giornalista del New York Times, ha provato questa magia: ha chiesto all’AI di costruire un’app che analizza il contenuto del frigo e suggerisce il pranzo per suo figlio. E l’ha ottenuta. Senza scrivere una riga di codice. Ma l’esperto di AI Gary Marcus ha smontato l’entusiasmo: l’app non era nulla di nuovo e, soprattutto, Roose non aveva idea di come funzionasse davvero.

È il problema del vibe coding, il nuovo modo di programmare basato sull’intuizione e non sulla logica. Copi e incolli, chiedi modifiche, ottieni risultati. Ma chi garantisce che siano quelli giusti? Se l’AI genera codice errato o con falle di sicurezza, come fai ad accorgertene?

I programmatori spariranno? No, ma il loro ruolo cambierà. L’AI non li sostituisce, li trasforma. Simon Willison, sviluppatore e divulgatore, lo ha capito: usa l’AI come un assistente, ma con la consapevolezza di chi sa leggere e correggere ciò che viene generato. Perché alla fine, il vero problema non è se la macchina può scrivere codice. Il vero problema è se tu sai davvero cosa sta scrivendo per te.

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