Nel 2017 un piccolo team di sviluppatori ha lanciato su Kickstarter un’idea ambiziosa: creare una rete mobile senza SIM, senza antenne, senza operatori. Si chiamava Sonnet.
Funzionava così: ti collegavi via Wi-Fi dal tuo telefono a un dispositivo Sonnet, una scatoletta tascabile. Da lì, messaggi, coordinate GPS e perfino mappe offline viaggiavano saltando da un Sonnet all’altro, nodo per nodo, fino a raggiungere il destinatario. Nessuna torre, nessun contratto, nessun intermediario. Solo una rete mesh, fatta da persone, per le persone.
La promessa era potente: un “internet senza infrastruttura”. Libertà totale. Comunicazione decentralizzata.
La campagna fece subito presa: 174 mila dollari raccolti. Il sogno sembrava concreto.
Poi è arrivato il mondo reale. I limiti fisici: consumo energetico, portata, affidabilità. I limiti sociali: senza utenti attivi, la rete non esiste. Un mesh senza massa critica è solo una manciata di scatole scollegate. E così Sonnet si è spento lentamente, lasciando dietro di sé un’idea più forte del prodotto.
Ma quella stessa idea continua a tornare. Da goTenna a Meshtastic, da Beartooth a mille forum underground, l’esigenza resta: comunicare senza dipendere da torri, contratti o algoritmi. Che sia per privacy, per protesta, per sopravvivenza o semplicemente per autonomia.
Tutte queste esperienze, riuscite o fallite, ci dicono una cosa sola:
vogliamo alternative.
Vogliamo reti che non si spengono quando il proprietario della rete tira una leva, cade un’antenna o decide di raddoppiare i prezzi dei GB.
Allora viene da chiedersi: cosa serve davvero per far funzionare una rete mesh?
Solo tecnologia? O forse… una motivazione condivisa, un’urgenza collettiva.
Rimane un grande motivo valido per connetterci senza padroni.
Per ora evidentemente utopico ma continuiamo a crederci…