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L’IA sta cambiando il modo in cui cerchiamo informazioni, ma a quale prezzo?

Fino a ieri, quando volevamo sapere qualcosa, aprivamo Google, digitavamo una domanda e ci trovavamo davanti a una lista di link. Potevamo confrontare fonti, verificare chi diceva cosa e farci un’idea più chiara. Oggi, invece, con l’intelligenza artificiale che risponde direttamente, tutto sembra più semplice. Ma c’è un problema: su quali basi decide cosa dirci? E soprattutto, possiamo fidarci?

L’IA non cerca nel senso tradizionale, sintetizza. Prende informazioni sparse per il web e ce le restituisce in una risposta unica. Ma se non possiamo vedere da dove ha preso quei dati, come possiamo capire se sono attendibili? Il rischio è quello di avere risposte che sembrano autorevoli, ma senza alcun modo di verificarle. E se i contenuti su cui si basa fossero parziali, obsoleti o addirittura falsi?

E poi c’è un altro grande interrogativo. Se tutti iniziano a fidarsi ciecamente dell’IA, chi andrà ancora sui siti web a leggere gli articoli originali? Se nessuno li legge, chi continuerà a produrre i contenuti che alimentano queste intelligenze artificiali? Il paradosso è evidente: l’IA ha bisogno di informazioni affidabili per funzionare bene, ma se svuota il traffico dei siti che producono quelle informazioni, il sistema rischia di collassare.

Abbiamo bisogno di più trasparenza. Le IA devono dichiarare quali fonti utilizzano e perché hanno scelto certe informazioni rispetto ad altre. Solo così possiamo continuare ad avere un ecosistema digitale sano, dove il sapere non viene monopolizzato da pochi algoritmi. Per ora, la regola resta sempre la stessa: non smettiamo di confrontare, verificare e usare il nostro senso critico. L’IA è un aiuto, non una verità assoluta.

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