In questi mesi si parla molto di intelligenza artificiale, ma in realtà la sua storia viene da lontano. Esattamente dal 1950, quando il matematico britannico Alan Turing pubblica un articolo intitolato “Computing Machinery and Intelligence”, dove propone un test: confrontare le risposte fornite da un computer con quelle di un essere umano per capire se la macchina è in grado di simulare il comportamento di una persona. Sei anni dopo nasce ufficialmente la nuova disciplina di studio sull’AI e, nel 1958, Frank Rosenblatt, psicologo americano, sviluppa Perceptron, uno dei primi algoritmi di apprendimento automatico basati su una rete neurale artificiale. È la prima svolta: la rete neurale artificiale, infatti, si ispira al funzionamento del cervello umano, può elaborare informazioni e apprendere da grandi quantità di dati e può essere utilizzata per risolvere vari problemi, dal riconoscimento di immagini a quello del linguaggio naturale.
Nel decennio successivo arriva “ELIZA”, uno dei primi programmi di intelligenza artificiale sviluppati per simulare una conversazione con un utente. Creato nel 1966 dall’informatico di origine tedesca Joseph Weizenbaum, imita un terapeuta che aiuta le persone a discutere dei propri problemi emotivi. È un importante passo avanti nel campo della conversazione uomo-macchina e ispirerà molte tecnologie di chatbot e assistenti virtuali che usiamo ancora oggi.
A metà degli anni Settanta l’interesse per l’AI sembra calare a causa di scarsi finanziamenti, progressi limitati nella ricerca e aspettative eccessive, ma a partire dagli anni Ottanta comincia una nuova fase di sviluppo grazie alla diffusione dei personal computer e alla disponibilità di grandi quantità di dati. Nel 1986 il professor Geoff Hinton, insieme ad altri ricercatori, sviluppa un algoritmo di apprendimento automatico chiamato “Backpropagation”, che permette di migliorare notevolmente le prestazioni delle reti neurali artificiali.
Il 1997 verrà ricordato, tra le altre cose, come l’anno in cui Deep Blue di IBM sconfigge il campione di scacchi russo Garry Kasparov: è la prima volta che un computer batte un fuoriclasse umano in un gioco complesso.
Altre sconfitte seguiranno: nel 2011 il supercomputer Watson, sempre di IBM, prevale sui migliori giocatori del programma televisivo “Jeopardy!”, nel 2016 il programma AlphaGo di Google batte il campione del mondo di Go, considerato il gioco da tavolo più difficile del mondo.
In generale, a partire dal 2000, l’Artificial Intelligence vive una nuova fase di espansione grazie alla diffusione di Internet e all’enorme mole di dati disponibile.
Negli ultimi anni l’accelerazione: nel 2020 OpenAI, organizzazione di ricerca sull’intelligenza artificiale, rilascia GPT-3, terzo modello della serie GPT, che utilizza una tecnologia di apprendimento automatico per generare testo in modo autonomo. Addestrato su miliardi di parole, è in grado di completare frasi e rispondere a domande in modo molto simile a come lo farebbe un essere umano.
È un’innovazione da cui non si torna più indietro, che genera aspettative, speranze, timori, dibattiti. Nel 2022 Google arriva a licenziare l’ingegnere Blake Lemoine, che sostiene di aver trovato un’intelligenza artificiale senziente. Si aprono una serie di questioni, dalla tutela dei dati personali alla protezione dei diritti d’autore. In Italia i Garante Per La Protezione Dei Dati Personali chiede e ottiene da Open AI nuove misure per garantire più trasparenza e diritti agli utenti. La grande storia dell’intelligenza artificiale continua. Anzi, forse è solo all’inizio.