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Formiamo più persone sull’intelligenza artificiale, perché le aziende ne hanno bisogno

Con la crescente diffusione dell’intelligenza artificiale siamo di fronte a una svolta nella storia dell’umanità: interi settori si trasformeranno, alcune aziende non avranno più ragione di esistere e altre nasceranno, alcune persone potrebbero perdere il lavoro o essere costrette a cambiarlo, altre si troveranno a svolgere lavori che prima non esistevano.

Le imprese sono già a caccia di talenti nell’ambito dell’AI e dell’analisi dei dati, ma questa ricerca si sta dimostrando difficile, impegnativa e costosa. Conoscere l’intelligenza artificiale generativa non significa certo saper fare le domande giuste a ChatGPT. Diffidate di chi sostiene questo: sarebbe come se qualcuno vi facesse credere che, per insegnarvi a dipingere, basta solo spiegarvi come svitare il tappo del tubetto di colore.

Per lavorare nell’Artificial Intelligence servono professionalità altamente qualificate. Per esempio gli scienziati dei dati, che raccolgono, analizzano e interpretano grandi quantità di dati per alimentare i modelli di AI; gli ingegneri del machine learning, professionisti che sviluppano algoritmi e modelli di machine learning per risolvere problemi specifici; gli esperti di deep learning, persone specializzate nell’addestramento e nell’utilizzo di reti neurali profonde per compiti complessi come il riconoscimento di immagini o il processing del linguaggio naturale. Si cercano anche ingegneri del software, che sviluppano applicazioni software basate sull’AI, come chatbot o sistemi di raccomandazione, e gli ingegneri di robotica, che elaborano sistemi di intelligenza artificiale per il controllo e l’automazione di robot e macchine. Senza dimenticare gli esperti di etica dell’AI, che devono valutare e mitigare i rischi etici e sociali associati all’uso dell’intelligenza artificiale, come la discriminazione che può essere generata da un uso errato degli algoritmi o la privacy dei dati.

Da una parte le aziende fanno una grande fatica ad assumere non solo i più esperti, ma anche le figure più giovani da formare, dall’altra in Italia il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è a quota 23,7%, cioè quasi uno su 5 non lavora.

Cosa si può fare? Innanzitutto serve una formazione accademica adeguata: le competenze richieste in questo settore sono molto specifiche e richiedono anni di esperienza e formazione. Le università devono poter fornire agli studenti le competenze tecniche richieste dal mercato. Competenze che, lo ricordo, sono in rapida evoluzione a causa dell’evoluzione tecnologica, perciò chi si occupa di formazione deve aggiornarsi continuamente per poter formare meglio chi lo segue. Più in generale, serve tanta divulgazione. Divulgare il digitale è la mia missione da oltre 30 anni. Continuerò a farlo e invito i miei colleghi divulgatori a fare altrettanto. Più informiamo sulle tecnologie digitali, più gli italiani sono consapevoli della loro utilità, più sono invogliati a capirle meglio, a studiarle e, eventualmente, a farne il proprio lavoro. Lavoro che, come ripeto, in questo momento è molto ricercato dalle aziende.

Le aziende sono a caccia di talenti AI e unopportunita di lavoro che non va persa 1
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