Ci sembra tutto lontano. Guardiamo fuori dalla finestra, vediamo il mare o la città, e pensiamo che nulla stia cambiando.
Ma intanto, mentre respiriamo aria “normale”, ci arriva una notifica. WhatsApp, Instagram, TikTok. Non abbiamo più bisogno di attraversare l’oceano: l’oceano ce l’hanno portato in tasca.
Anche stavolta sarà così. Quello che oggi ci sembra remoto ci arriverà addosso all’improvviso. Con la stessa forza con cui i social hanno sostituito i bar, o le chat le telefonate. E ci travolgerà anche se viviamo in un paese tranquillo, con la vita di una volta.
Perché chi comanda davvero non è lo Stato, non siamo noi, e nemmeno i nostri parlamenti. Sono le grandi piattaforme. Stanno costruendo una sola app per tutto. Musk con X, Altman con la sua nuova AI: tutti con lo stesso obiettivo. Diventare il centro delle nostre vite online. Non è più una gara sull’algoritmo. È una guerra per il nostro tempo, la nostra identità, la nostra attenzione.
E se vincono loro, noi restiamo chiusi dentro una scatola. Che chiamano piattaforma.
Intanto, mentre siamo lì a scrollare, qualcuno pensa che l’AI possa curare anche le nostre fragilità. Non solo chatbot “carini”, ma strumenti veri, clinici, per la salute mentale. Ci stanno lavorando seriamente negli USA. Ma chi ci protegge se sbagliano? Chi è responsabile se un algoritmo fraintende la nostra disperazione? L’AI può aiutare, certo. Ma la sofferenza umana è troppo complessa per essere codificata.
Meno complesso, invece, è sostituirci del tutto. In Georgia, Hyundai ha messo i robot umanoidi in fabbrica. Si muovono, sollevano, fanno turni veri. Si chiamano Atlas. Altro che supporto: qui gli operai non sono più affiancati. Sono rimpiazzati. E non lo decide nessuna legge. Lo decide chi ha i soldi per farlo.
Google ha fatto una cosa che sembra piccola, ma non lo è. Ha fatto vincere a Gemini una partita a Pokémon Blue. Un vecchio gioco, certo. Ma Gemini ha parlato, pensato e giocato come un ragazzino appassionato. In linguaggio naturale. Ed è proprio questo il punto: non capiamo più chi è l’umano e chi è la macchina. Chi guida e chi segue.
Oltre 1.000 opere generate da AI sono già registrate negli Stati Uniti. Una soglia simbolica, che cambia le regole del gioco. Chi è l’autore? Chi possiede i diritti? Siamo noi a decidere, o lasciamo decidere le big tech?
E mentre ci facciamo domande sulla creatività, Meta si lamenta. Dice che l’infrastruttura AI costa troppo, colpa dei dazi. Ma non è solo politica. È geopolitica. La potenza di calcolo è una risorsa strategica, come il petrolio. Quando un colosso come Meta si dice in difficoltà, è solo perché sta preparando la prossima mossa.
E possiamo star certi che ci riguarderà da vicino.
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