Chi possiede l’intelligenza artificiale possiede il futuro. Quindi perché il futuro dell’umanità è in mano ad aziende private?
È questo il nodo centrale di un articolo appena pubblicato dal Guardian, che rilancia una proposta semplice ma potente: i modelli linguistici su cui si basa l’AI moderna dovrebbero essere di proprietà pubblica.
Non in senso simbolico. Proprio come infrastrutture: finanziati, sviluppati e supervisionati da enti indipendenti, accessibili a tutti. Perché? Perché se restano nelle mani di poche aziende, saranno queste a decidere cosa possiamo sapere, come possiamo lavorare, che tipo di società costruiremo.
I grandi modelli linguistici, come quelli di OpenAI, Google o Anthropic, non sono solo software. Sono strumenti che assorbono e ricombinano enormi quantità di dati, producono risposte, contenuti, decisioni. E lo fanno sulla base di addestramenti opachi, su dataset non accessibili, in assenza di veri controlli democratici. Chi li costruisce può scegliere cosa enfatizzare, cosa omettere, cosa rendere più o meno visibile nel mondo digitale.
La proposta pubblicata su Nature Machine Intelligence non è ideologica. È strategica. Gli autori suggeriscono che questi modelli vadano trattati come l’energia elettrica o la rete idrica. Nessuno si sognerebbe di lasciare l’acqua potabile in mano a un monopolio non regolato. Perché farlo con l’AI?
I critici obiettano che i costi sono troppo alti, che il settore pubblico non saprebbe reggere la concorrenza. Ma se oggi usiamo internet, GPS o lo stesso Wi-Fi è proprio grazie a investimenti pubblici. Non è una questione tecnica. È una scelta politica.
Voi cosa ne pensate?