Da una parte c’è la corsa verso un’intelligenza artificiale generale sempre più autonoma, sempre più potente, sempre più fuori controllo. Una corsa fatta da governi e grandi aziende, dove l’obiettivo non è tanto il bene comune, quanto arrivare primi. Dall’altra, c’è la possibilità di fermarci un attimo. Guardare dove stiamo andando. E scegliere una strada diversa, in cui l’IA non prende il nostro posto… ma ci rafforza.
Anthony Aguirre, direttore esecutivo del Future of Life Institute, ha scritto un saggio dal titolo chiarissimo: “Keep the Future Human”. Cioè, “manteniamo il futuro umano”. E in queste pagine mette in guardia tutti noi da un rischio concreto: la nascita dell’AGI, l’Intelligenza Artificiale Generale. Non una tecnologia qualsiasi, ma qualcosa che mette insieme autonomia, capacità di adattarsi a qualsiasi compito e intelligenza superiore alla nostra.
E quando queste tre cose si uniscono, non stiamo più parlando di uno strumento… ma di un potenziale sostituto.
Il punto di Aguirre è semplice e urgente: se superiamo certe soglie, non si torna indietro. Per questo propone di chiudere la porta all’AGI, almeno per ora, e investire invece in quella che lui chiama “Tool AI”: intelligenze artificiali pensate per aiutare l’essere umano, non per imitarlo o superarlo.
Un approccio che personalmente non posso che condividere.
Chi mi segue lo sa: da anni porto avanti una filosofia che ho chiamato Cyberumanesimo.
Una visione che parte da un principio molto chiaro: l’essere umano deve restare sempre al centro. Non solo come utente, ma come riferimento etico, come motore delle scelte, come custode dei valori.
La filosofia del Cyberumanesimo non chiede di rallentare il progresso. Chiede di orientarlo. Di costruire un futuro in cui l’IA non è un fine, ma un mezzo. Un potenziamento delle nostre capacità, non un’alternativa alla nostra esistenza.
L’IA può essere uno specchio del nostro peggio o uno strumento per tirar fuori il nostro meglio.
Dipende da noi.
Nel suo saggio, Aguirre lancia un appello. E fa bene. Ma forse dovremmo chiederci: abbiamo davvero bisogno di bloccare tutto? O piuttosto di un nuovo modo di stare dentro l’innovazione, senza smettere di essere umani?
Io credo nella seconda.
E lo ripeto sempre: il futuro può restare umano, se scegliamo di esserlo anche davanti alla macchina.