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Le novità nel mondo AI con qualche mia riflessione – 10.05.2025

L’intelligenza artificiale non è più solo uno strumento: sta diventando un interlocutore. E non uno qualunque, ma uno che si prende iniziativa, che agisce al posto nostro, che prende decisioni e le porta avanti anche quando noi non ci siamo. Augment Code, per esempio, ha lanciato un sistema chiamato Remote Agent che permette a un agente AI di continuare a programmare da solo, anche con il nostro computer spento. Non serve più cliccare, non serve nemmeno esserci. Si delega, punto.

Nel frattempo Amazon si muove su due fronti: da una parte sviluppa Kiro, un’app di coding AI con capacità multimodali, cioè in grado di capire testo, immagini, istruzioni complesse e farle eseguire da agenti. Dall’altra lancia Enhance My Listing, uno strumento per ottimizzare le schede prodotto su Amazon in modo automatico. Non serve più saper scrivere bene o conoscere le regole del marketing: lo fa l’intelligenza artificiale. Tu vendi un oggetto, lei ti scrive il testo, ti sceglie la foto e ti prepara la strategia.

Anche Shopify aggiorna il suo Sidekick, che ora ragiona, genera immagini, assiste i commercianti come se fosse un collaboratore vero. Tutto gratis. Non serve competenza, basta l’idea. Il sistema fa il resto. La direzione è chiara: abbassare la soglia d’ingresso per tutti, ma al tempo stesso togliere pezzi di umanità al processo creativo.

E poi c’è Hugging Face, che da sempre lavora sulla democratizzazione dell’AI, e rilascia Open Computer Agent, un agente AI gratuito che può usare un computer virtuale per svolgere task complessi. È lento, sì. Ma il punto non è la velocità. Il punto è che possiamo già lasciare a una macchina il controllo di un sistema operativo, con input testuali, e lei capisce, esegue, risponde. Non è più un assistente: è un utente al posto nostro.

E mentre tutti pensano all’AI come qualcosa che ci semplifica la vita, negli Stati Uniti c’è chi pensa di usarla per decidere se un farmaco funziona oppure no. La FDA, l’agenzia americana che approva i medicinali, sarebbe in trattativa con OpenAI per integrare sistemi intelligenti nei processi di sviluppo e revisione dei farmaci. Non per scrivere email, ma per dire se una terapia è efficace o se può mettere a rischio la nostra salute. Una cosa è farsi aiutare a vendere, un’altra è farsi aiutare a guarire.

Intanto Meta gioca la carta del ritorno alle origini: riporta nel suo laboratorio di ricerca Robert Fergus, dopo anni a DeepMind. L’obiettivo non è vendere prodotti, ma spingere la scienza. E se una delle aziende più aggressive del pianeta torna a puntare tutto sulla ricerca, forse è perché ha capito che la vera partita si gioca lì. Non su cosa vendiamo, ma su chi controlla gli strumenti con cui lo vendiamo.

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