Innovare nella comunicazione è un duro lavoro.
Quando sei il primo, non capiscono cosa stai facendo o lo valutano con le vecchie logiche. Quando poi diventa mainstream si dimenticano che eri stato tu a innovare quella cosa.
Non è come l’elettricità o il cinema, in cui c’è l’inventore certo. La comunicazione è materia fluida, apparentemente di tutti e di nessuno.
1981: “basta con quel computer, non serve a niente. Studia! (VIC20 Peek&Poke programming)”.
1988: “computer in rete tra loro? Perché? (Mia caserma a militare)”.
1990: “Non sei mica Gekko di Wall Street! A cosa ti serve il telefonino? Per avvisare la mamma che deve buttare la pasta?”.
1993: “cos’è sto sito dove la gente si può mandare messaggi e ha un profilo? I siti non servono a quello (InternetworkCity)”.
1998: “una pagina dove cambiano le cose? Non siamo mica al luna park! (MTV.it)”.
2000: “Una radio online ondemand? Le radio sono di flusso! (Radio3210).”
2001: “A cosa serve pubblicare cosa fai ogni giorno? (Mio blog)”.
2004: “un talk show sulla tecnologia? Chi sei Maurizio Costanzo? (Digitalk)”.
2007: “Un sito di petizioni? A che serve? (Firmiamo.it)”.
2008: “Se ti trasferisci a Londra non riuscirai più a fare niente in Italia (trasferimento in UK)”.
2010: “facebook mi da tutto gratis e quindi il mio blog non serve più! (Libro Escape from Facebook)”.
2017: “In TV parlare di digitale non farà mai audience”.
E ora: “Un magazine personale? Non è troppo egoriferito? (Think!)”.
Tra qualche anno sarà normale aver bisogno di fisicità. I magazine saranno sempre meno e sempre più di nicchia.
Ci saranno i magazine personali. Come una volta c’era il giornalino di Simon Le Bon, o come è personale ogni pagina Facebook.
Ho amici che mi hanno dato un feedback importante: “nel magazine ci sono troppe foto tue”. Ed è giusto se viene visto alla vecchia maniera: io editore di un mio magazine che approfitto dello spazio per mettermi ovunque.
Ma non è più un magazine di quel tipo. È come se fosse il mio Instagram a forma di magazine. Su Instagram nessuno ci dice che mettiamo troppe foto nostre. È ovvio che ci siamo sempre noi, è il NOSTRO Instagram.
Peraltro il mio magazine è distribuito solo a persone che già mi conoscono, per cui non c’è alcun bisogno di promuovermi.
È semplicemente il MIO magazine, in cui si raggruppano le mie cose e quindi ci sono ”tanto io”.
Morale: toglierò molto me e molte mie foto così la percezione tornerà quella consona al momento.
In futuro, quando sarà normale avere il proprio magazine, potrò rimetterle come faranno tutti