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Il mondo dei robot intelligenti sta esplodendo e non se ne parla.

Il mondo dei robot intelligenti sta esplodendo e non se ne parla. Quasi quasi non vedo l’ora che ci si buttino anche gli imbonitori della vendita di corsi che per ora sono diventati tutti esperti di AI, ma presto saranno tutti esperti di robot, con relativo corso a 99 euro.

Tuttavia lo tsunami sta arrivando, che ci piaccia o meno.

Pensate che ogni giorno nel mondo ci sono migliaia di incidenti stradali causati da esseri umani. Ma basta che ne faccia uno una macchina autonoma, e lo leggiamo ovunque. È successo a Zoox, il progetto di auto autonome di Amazon: un crash a Las Vegas, software ritirato, test sospesi. È bastato un singolo errore per bloccare tutto. Ma se ci pensiamo bene, siamo noi che non accettiamo che una macchina sbagli. Vogliamo che sia perfetta, infallibile. Quando invece noi, ogni giorno, dimostriamo il contrario.

Nel frattempo, le macchine che camminano e ragionano fanno passi avanti più in fretta di quanto sembri. In Cina, Kepler ha messo il suo nuovo umanoide Bumblebee a lavorare in una vera fabbrica automobilistica. Non in laboratorio, non in demo per investitori. Sulla catena di montaggio vera. E a quanto pare, funziona. Sta lì, accanto agli operai, e si muove come uno di loro. Anzi, forse meglio. Perché non si stanca, non si distrae, non protesta.

Ma non è solo una questione di forza. L’intelligenza oggi è tutta nei dettagli. Al MIT hanno creato un sistema che permette ai robot di capire cosa c’è dentro un oggetto semplicemente scuotendolo. Senza aprirlo, senza guardarlo. Solo ascoltando i segnali interni. Una specie di sesto senso meccanico. E sempre al MIT hanno costruito un braccio che gioca a ping pong con una precisione che noi ci sogniamo. Non solo risponde ai colpi, ma li anticipa. Li legge. Li studia. E li ribatte.

Dall’altra parte del mondo, un team coreano ha pensato a qualcosa di meno spettacolare ma molto più utile: un robot per disinfettare gli ospedali con luce UV-C. Non serve a stupire. Serve a proteggere. Gira per i corridoi, sterilizza le superfici, riduce il rischio di contagio. Non si ammala, non si lamenta. E non ha bisogno di ferie.

Ma non è solo il corpo che evolve. È la mente. Hugging Face ha lanciato Open Computer Agent, un assistente AI che non si limita a rispondere, ma agisce. Apre pagine web, clicca, compila form, acquista biglietti. Fa quello che faremmo noi davanti a uno schermo. Solo che lo fa in modo automatico. E gratis. È open-source, quindi chiunque può usarlo, modificarlo, integrarlo.

E mentre molti si chiedono a cosa serva tutto questo, c’è chi lo rende reale. Come la tedesca Igus, che ha costruito Iggy Rob: un umanoide da 1 metro e 70, costa 54mila dollari ed è pensato per lavorare. Non per intrattenere. Ma per fare. È una macchina industriale con sembianze umane. Ed è già in vendita.

Ma proprio qui nasce il problema. Perché più queste macchine ci somigliano, più ci chiediamo chi le controlla. In America, un gruppo bipartisan di parlamentari ha chiesto un’indagine sull’uso dei robot cinesi Unitree nelle carceri e nelle forze di polizia. Non per una questione economica. Ma per sicurezza nazionale. Perché quei robot sono alimentati da software cinesi, e c’è chi teme che possano fare più di quanto dovrebbero. Anche perché, nel frattempo, Unitree ha annunciato una nuova alleanza con la startup Reborn di San Francisco per sviluppare una nuova intelligenza specifica per i suoi umanoidi. E nessuno ha ben chiaro dove finiscano le competenze di una e comincino i rischi per tutti.

L’Università di Rochester, invece, ha scelto una via diversa. Ha creato un modello AI che guarda video in time-lapse e impara le leggi della fisica. Non solo genera immagini, ma capisce come si muove il mondo. Capisce il peso, l’inerzia, la gravità. Impara le regole che regolano la realtà, osservando come facciamo noi da bambini.

Corpi che si muovono, cervelli che apprendono, braccia che anticipano, software che agiscono. Ma il punto non è solo quanto diventano bravi. È quanto noi siamo disposti a fidarci.

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