La fabbrica non è più un luogo. È un’intelligenza mobile, distribuita, autonoma. I robot non stanno entrando nei vecchi modelli produttivi: li stanno spazzando via. Non serve più la catena di montaggio. Non serve più il capannone. Serve solo un algoritmo e uno sciame di macchine capaci di costruire mentre si muovono.
In California, H2 Clipper ha brevettato un sistema in cui sciami di robot costruiscono dirigibili a idrogeno senza usare strutture fisse. Assemblano, ispezionano, correggono gli errori in tempo reale grazie all’AI generativa. Niente linee di produzione, niente impianti. Solo automazione flessibile e decentralizzata. Info
Chi controlla i robot controlla la produzione. Ma chi produce i robot, controlla tutto. La filiera non è più una rete di attori: è un impero verticale. Dal software al prodotto finito. Nessuna dipendenza esterna, nessuna debolezza.
Hyundai ha annunciato l’acquisto di decine di migliaia di robot dalla sua controllata Boston Dynamics: i cani Spot per la manutenzione, gli umanoidi Atlas per l’assemblaggio. Tutti potenziati dai nuovi modelli AI di Nvidia. Producono automobili, ma anche gli operai che le assembleranno. E quando un’azienda si costruisce da sola i propri lavoratori, non resta molto spazio per gli altri.
L’automazione non è una promessa. È una realtà quotidiana, sempre più invisibile. I robot non servono solo a sostituire. Servono a ridefinire il concetto stesso di “lavoro”. Prima si affiancano. Poi si rendono indipendenti.
Nel Regno Unito, il servizio di consegne Evri ha avviato la sperimentazione di robot a forma di cane, progettati per accompagnare i corrieri nel tratto finale della consegna. Oggi lavorano in tandem. Domani potrebbero fare da soli. E quando succederà, il “supporto” non sarà più necessario.
I robot non imparano più come una macchina. Imparano come un bambino. Non serve solo il sensore. Serve l’esperienza. E l’ordine in cui la vivono conta più della quantità di dati che ricevono.
Alla USC, i ricercatori del ValeroLab hanno scoperto che nelle mani robotiche, l’efficacia non dipende dai sensori tattili, ma dall’esperienza accumulata. È l’educazione, non la progettazione, a fare la differenza. Il futuro della robotica è fatto di memoria, adattamento e apprendimento. Non di meccanica. Info
Quando i robot sembrano umani, smettiamo di trattarli come oggetti. E iniziamo a fidarci. Basta una smorfia, un’espressione del viso, per ingannarci. Ma non è empatia. È programmazione.
Uno studio giapponese ha dimostrato che i robot che strizzano gli occhi o aggrottano la fronte mentre “pensano” ci sembrano più intelligenti. Solo perché assomigliano a noi. E questo ci fa abbassare la guardia. È un inganno sottile, ma pericoloso.
Non serve più dare a un robot un compito per volta. Basta dargli occhi, linguaggio e capacità di azione. E inizierà a decidere da solo. La vera rivoluzione non è nell’efficienza, ma nell’autonomia decisionale.
In un video pubblicato da Agibot e Physical Intelligence, robot umanoidi eseguono compiti complessi grazie a modelli integrati di visione, azione e linguaggio. Guardano una scena, capiscono cosa fare e lo fanno. Senza istruzioni. Senza dipendenza.