Instagram fa spot in TV e pubblicità a pagamento in cui dice di volere una legge europea che imponga agli app store la verifica dell’età e l’approvazione dei genitori.
Insomma, sembra che siano loro i buoni che vogliono difendere i minori, mentre i governi e le autorità dormono…
Eh no! Così è una presa in giro.
Per anni ha fatto il contrario. Ha sempre evitato di introdurre un sistema serio per bloccare i minori, anche quando avrebbe potuto farlo. E non per caso.
Fino al 2019 bastava dichiarare di avere più di 13 anni. Nessuna verifica. Milioni di bambini sono entrati nel sistema, mentendo sull’età. Lo sapevano tutti. Lo sapeva anche Meta. Ma conveniva così: più utenti, più dati, più soldi. Poi quando sono arrivate le pressioni – da autorità, giornalisti, governi – hanno cominciato a fare piccoli passi. Sempre dopo. Sempre troppo tardi.
Hanno perfino provato a creare “Instagram Kids”, una versione dell’app per i bambini sotto i 13 anni. Altro che protezione: era un modo per agganciare nuovi utenti ancora prima. Dopo le proteste mondiali l’hanno fermata, ma il problema è rimasto. Hanno continuato a fidarsi della parola dell’utente: “dimmi quanti anni hai”. Fine.
Nel frattempo sono arrivate multe record (405 milioni di euro in Europa), leggi più dure (come quella dello Utah), e perfino divieti come in Australia. Eppure Instagram ha sempre cercato di rimandare, scaricando la responsabilità sugli altri. Adesso chiede che siano gli app store a fare il lavoro sporco: che sia Apple a verificare l’età, non loro.
Intanto milioni di bambini sono ancora lì dentro, esposti a tutto. E se si iscrivono mentendo sull’età, l’algoritmo li tratta come adulti: contenuti, messaggi, pubblicità. Meta lo sa. Ma ha sempre preferito non vedere. Fino a quando non viene costretta.
La verità è semplice: il problema della verifica dell’età non è tecnico. È strategico. E le scelte di Instagram in questi anni dimostrano bene da che parte stavano.