La ragazza che ha insegnato all’AI a difendere i bambini.
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Chow Sze Lok non è nata genio. È una studentessa di 17 anni del St. Mary’s Canossian College di Hong Kong. Vive come tanti coetanei, studia, fa i compiti, sogna un futuro. Ma un giorno inciampa in una notizia che la scuote: casi di abusi nei centri per l’infanzia, episodi che nessuno aveva visto arrivare. Lì capisce che il problema non è solo la violenza, ma la cecità degli adulti che non sanno cogliere i segnali.
Il punto di partenza è quasi ridicolo: un vecchio portatile. Nessun laboratorio, nessun finanziamento, solo lei e la convinzione che la tecnologia possa essere alleata dei bambini. Inizia a studiare visione artificiale, passa notti intere davanti allo schermo, prova, sbaglia, ricomincia. Sei mesi di lavoro, senza mai fermarsi.
Nasce così Kid-AID. Un sistema che non si limita a registrare: osserva, riconosce, segnala. Flagga in tempo reale interazioni sospette tra adulti e bambini negli asili. È come dare occhi nuovi alle telecamere. Un prototipo fragile, ma funziona.
Arrivano le prime prove di fuoco: i concorsi. All’Hong Kong Science Fair il suo progetto sorprende tutti. All’InfoMatrix, competizione internazionale, porta a casa un altro premio. Lei, una teenager con un vecchio laptop, conquista giurie abituate a startup con budget da milioni.
Il ritorno è enorme. Kid-AID diventa simbolo di un’AI diversa: non fatta per guadagnare clic o vendere pubblicità, ma per difendere i più piccoli. È l’arco dell’eroe completo: parte dal basso, affronta difficoltà, costruisce la sua arma, e torna con un dono per la comunità.
Chow non ha solo scritto un codice. Ha dimostrato che l’innovazione più radicale non viene dai colossi della Silicon Valley, ma da chi osa guardare dove gli altri distolgono lo sguardo.
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