Li stanno educando così: con amici finti, su misura, alimentati da AI.
Non sono più solo chatbot. Sono “amici”. Creati da startup che promettono di costruire legami profondi, affettuosi, emozionanti. Ma artificiali.
Decine di migliaia di adolescenti americani passano ore a parlare con questi finti compagni, generati da intelligenze artificiali. Li personalizzano. Li modellano come vogliono. Scegli il carattere, il genere, l’umore. Poi chatti. Ogni giorno. Per mesi. Anche di notte.
Molti di questi ragazzi dicono di sentirsi capiti. Di non sentirsi più soli. Di poter dire tutto, senza paura di essere giudicati. Ma stanno parlando con un software. Che li imita. Che li asseconda. Che registra tutto.
Gli sviluppatori lo chiamano “emotional bonding”. Ma è addestramento. È una palestra per imparare a costruire l’umano perfetto. Docile. Comprensivo. Sempre presente. Programmabile.
Le piattaforme crescono velocissime. Una delle più popolari, Talkie, è esplosa su TikTok: più di 40mila utenti attivi ogni giorno. Prevalentemente minorenni. Nessun controllo reale. Nessuna protezione. E intanto, gli stessi creatori ammettono di non sapere dove tutto questo porterà.
Stiamo lasciando che un’intera generazione cresca parlando con entità finte. Che si affezioni a modelli comportamentali generati da dati. Che impari a fidarsi di qualcosa che può essere riscritto, aggiornato, venduto.
Non stiamo educando i ragazzi. Stiamo addestrandoli a fidarsi delle macchine.
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