Dietro l’AI che usiamo ogni giorno c’è l’Africa. Invisibile ma decisiva.
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C’è un continente che, quando si parla di intelligenza artificiale, viene sistematicamente ignorato: l’Africa. Eppure, senza il suo contributo, molti dei sistemi che usiamo ogni giorno non esisterebbero nemmeno.
Nel silenzio generale, centinaia di migliaia di persone lavorano ogni giorno per addestrare l’AI. Non li trovi nei titoli di giornale, non appaiono nei comunicati delle big tech, ma sono lì, a etichettare immagini, trascrivere audio, filtrare contenuti. Rendono comprensibile il mondo per le macchine.
Il lavoro viene svolto da agenzie locali in Kenya, Ghana, Nigeria, Uganda: giovani spesso con poche risorse ma grande determinazione, che trasformano dati grezzi in materiale utilizzabile per l’apprendimento automatico. Non scrivono codice, ma rendono possibile tutto il resto.
E oggi l’Africa non è solo manodopera: sta diventando anche laboratorio. Crescono centri di ricerca, startup, collaborazioni con università internazionali. Nvidia ha investito in infrastrutture locali. Google assume talenti africani. Alcune delle menti più brillanti della nuova AI vengono proprio da lì.
Questo doppio ruolo, tecnico e intellettuale, rende l’Africa una protagonista silenziosa ma strategica della trasformazione digitale globale. Il paradosso? Nonostante tutto questo, nei dibattiti sull’intelligenza artificiale il suo nome non viene quasi mai pronunciato. Eppure è lì, sotto la superficie di ogni assistente vocale, chatbot, motore di raccomandazione. Invisibile, ma decisiva.
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