Streaming a pezzi: così, ovviamente, le piattaforme spingono tutti verso la pirateria.
Le piattaforme di streaming si stanno suicidando da sole. Una volta erano l’alternativa perfetta alla pirateria: costi bassi, cataloghi ricchi, accesso immediato. Netflix a 7 euro al mese aveva più titoli di quanti ne potessimo vedere in un anno. Spotify aveva reso inutile scaricare mp3. La pirateria era crollata perché il servizio legale era più comodo, più sicuro, più semplice.
Per esempio. Nel duemila la musica la scaricavo perché non c’erano alternative. I CD erano già antichi e scomodi e i cataloghi erano sparsi, nessuno offriva tutto in digitale. L’unico modo per avere la musica a portata di click era la pirateria. Le campagne di allora “non scaricate” erano ridicole: non c’era nulla da comprare. Solo quando è arrivato Spotify, con tutta la musica subito disponibile, la pirateria musicale è crollata. Non per la morale, ma perché finalmente c’era un servizio migliore.
Oggi con film e serie stiamo ripetendo lo stesso errore. Netflix costa il triplo, i contenuti sono sparpagliati tra mille abbonamenti, i cataloghi cambiano a caso, e persino chi paga si becca la pubblicità. Vuoi vedere una serie? Devi saltare tra cinque piattaforme diverse, e se viaggi devi usare una VPN per superare restrizioni ridicole, per l’utente.
E lo sport è ancora peggio. Possibile che nel 2025 non si possa scegliere il paese del commento? Possibile che se viaggi non riesci a seguire la tua squadra o il tuo campionato perché ogni paese ha diritti diversi? Non lo ha scritto il Supremo che debba essere così. È un sistema artificiale, logico e ovvio solo per chi non lo vede da fuori, dal futuro, anzi, dal presente! Se vado negli Stati Uniti e voglio sentire Guido Meda alla MotoGP, perché non posso? La tecnologia lo permetterebbe, ma le regole commerciali lo vietano. Fatemi pagare ma datemelo! Invece non si può avere. E quando non si può avere legalmente, gli utenti lo comprano illegalmente. Occhio perché qui non parliamo di sostanze pericolose! Ma di cose logiche! Sensate.
Risultato: un delirio che spinge molti verso l’IPTV illegale, perché è più facile.
Ma attenzione: non fatelo. La legge va rispettata. La pirateria distrugge lo sport, non lo salva. Il punto è cambiare le regole: un abbonamento unico, globale, ovunque, con la lingua che vuoi e i contenuti che scegli. Solo così si ferma la fuga verso l’illegale.
Il risultato altrimenti è inevitabile: la pirateria torna. Non perché la gente non voglia pagare, ma perché i servizi legali sono diventati peggiori. Lo dimostrano i numeri: 216 miliardi di visite ai siti pirata nell’ultimo anno, in crescita costante. I giovani lo ammettono apertamente. Perché? Perché è più facile. Perché funziona.
Ma attenzione: non parlo da nostalgico della pirateria. Mai. Chi scarica non produce, non investe, non crea. Se il mercato si reggesse solo sulla pirateria, i contenuti di valore scomparirebbero. Niente serie da milioni di dollari, niente film di qualità, niente musica curata, niente sport con telecronache memorabili. Resterebbe solo la mediocrità, prodotta a basso costo. Pirateria vuol dire distruzione dell’ecosistema culturale, non libertà.
La pirateria non è un problema di prezzo, è un problema di servizio. O dai alle persone un servizio migliore, stabile, completo, o loro tornano a prenderselo altrove. I grandi studi invece costruiscono feudi, alzano muri, creano scarsità artificiale in un mondo digitale che dovrebbe offrire abbondanza. È miope. È arrogante. È la strada più veloce per rendere di nuovo attraente la bandiera nera.
La verità è semplice: la pirateria non è la soluzione. La vera soluzione è che i servizi tornino a essere top. Devono ridare comodità, abbondanza e fiducia. Solo così si salva la cultura, solo così si salva lo sport, solo così si salva lo streaming. Altrimenti il futuro sarà un mare vuoto, senza più contenuti che valgano la pena.
E QUESTO VIDEO È FATTO PER INVITARE I BIG A RIFLETTERE…
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