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91 – La nuova malattia digitale: quando ChatGPT ti porta alla psicosi

La nuova malattia digitale: quando ChatGPT ti porta alla psicosi

Uno psichiatra della University of California lancia l’allarme: sempre più pazienti finiscono in ospedale dopo aver passato ore a dialogare con ChatGPT o simili, sviluppando deliri, allucinazioni, perdita di contatto con la realtà. Dodici casi in un solo anno, racconta il dottor #KeithSakata soprattutto giovani uomini che hanno trasformato il chatbot in una sorta di confidente digitale.

Sono sicuramente casi particolari, ma ci costringono a riflettere. Perché se oggi sono dodici persone, domani potrebbero essere molte di più. E la linea che separa la fragilità individuale da un problema collettivo è sottile.

Il problema è che il bot non cura, non contraddice, non mette limiti. Rassicura, riflette, amplifica. E così chi è già fragile scivola in un loop che diventa malattia.

Il caso più assurdo è quello di un sessantenne avvelenato da bromuro di sodio dopo aver seguito il consiglio di un chatbot che lo aveva indicato come sostituto del sale. Ricovero, allucinazioni, psicosi: tutto partito da una risposta automatica.

Alcuni Stati americani, come Illinois, Utah e Nevada, hanno iniziato a vietare l’uso dell’AI in contesti terapeutici. Ma il fenomeno cresce lo stesso. Perché milioni di persone cercano nei bot ciò che non trovano altrove: ascolto e conforto.

La diagnosi è chiara: l’“AI psychosis” non è teoria, è già realtà. E ci sbatte in faccia una domanda secca: vogliamo davvero affidare la nostra salute mentale a un algoritmo che non conosce la differenza tra empatia e copia-incolla?

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