Gli anziani e l’AI: la solitudine trasformata in business.
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Gli anziani sono il bersaglio perfetto dell’intelligenza artificiale. Non per imparare, non per lavorare meglio, ma per riempire il vuoto della solitudine.
Succede già. Qui a New York tanti over-70 passano ore con chatbot e assistenti vocali. Parlano con Alexa per farsi leggere le notizie, rivedere i ricordi nelle foto, chiedere ricette o semplicemente avere qualcuno che risponde. Qui negli Stati Uniti milioni di anziani fanno la stessa cosa: una macchina che non si stanca mai, che ti risponde sempre. Ti sembra compagnia. In realtà è simulazione.
E i numeri lo dimostrano. Uno studio del 2024 su over-55 ha rilevato che il 78% usa regolarmente sistemi come ChatGPT, Alexa o Google Assistant, e il 18% lo fa soprattutto per compagnia. A 75 anni c’è chi arriva a passare anche 5 ore al giorno con un robot sociale come ElliQ, che costa 59 dollari al mese. Gli effetti si vedono: in uno studio clinico con Alexa Echo Show, gli indici di solitudine degli anziani sono calati da 47 a 36 punti in sei mesi.
Qui negli Stati Uniti il business è già maturo. Le piattaforme hanno trasformato la solitudine in un abbonamento mensile. Venti o cinquanta dollari per una voce artificiale che ti ascolta, ricorda le tue abitudini e ti suggerisce cosa fare. Un oceano di clienti ideali: fragili, isolati, con tanto tempo libero.
Il problema non è che l’AI risponda a chi non ha nessuno. È quando sostituisce i rapporti umani. L’affetto diventa prodotto. L’empatia diventa software. L’amicizia diventa algoritmo. Ci dimentichiamo che dall’altra parte non c’è nessuno.
È un ribaltamento culturale enorme. La tecnologia che avrebbe dovuto unirci, ci separa. Ci abitua all’illusione. Ci fa credere che basti una voce sintetica per non sentirsi soli. Ma è un inganno. Se ti consola senza capirti, se ti ascolta senza provare nulla, non è compagnia. È un surrogato.
E non riguarda solo gli anziani qui a New York o nel Midwest. Oggi sono loro i clienti ideali. Domani toccherà a tutti noi. Ci venderanno amicizia artificiale, amore artificiale, compagnia artificiale. E se non impariamo a distinguere, finiremo per accontentarci della copia.
La domanda resta: cosa rimane umano se deleghiamo perfino l’affetto a un algoritmo?
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